Meccanismo della lisdexamfetamina nel deficit di
attenzione con iperattività
GIOVANNA REZZONI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 28 aprile 2018.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Ricordo una paziente
trentaquattrenne che venne all’ambulatorio dell’istituto universitario di
clinica psichiatrica presso il quale ero allieva interna, chiedendoci di
valutare la sua personalità e diagnosticare, se avessimo riscontrato tratti
patologici, la sua malattia.
Molto curata nell’aspetto e
nell’abbigliamento, era seduta ben diritta con un controllo posturale stenico,
volgeva con brevi e rapidi movimenti del capo lo sguardo a destra e a sinistra,
non mancando di guardarci negli occhi e, avendo preso a tamburellare con le
dita sulla scrivania, ci rivolgeva di tanto in tanto dei sorrisi come per
rassicurarci sull’assenza di impazienza; una lievissima tachipnea era rivelata
dal suo parlare rapido che, per il timbro alterato da una leggera disfonia,
ricordava quello dell’attrice Monica Vitti. I suoi modi seduttivi ma non
seducenti nei confronti del professore che la ascoltava per la seduta
diagnostica, sembravano coerenti con la sua riferita preferenza di rapporto col
sesso maschile: “Le donne sono false, pettegole, infide … Preferisco gli uomini:
sono più sinceri e leali, anche quando magari sono espliciti nelle intenzioni
…”, si può leggere nella trascrizione della registrazione alla quale stavo
provvedendo. Continuando, poi, riferiva di essere stata lasciata dal suo ultimo
fidanzato che la riteneva “una pazza insopportabile”, non tanto, secondo lei,
per la sua instabilità affettiva, quanto per la sua incapacità di perseguire
con continuità uno scopo comune, dall’itinerario di una gita alle tappe del
percorso di vita. Anche se tendeva a razionalizzare il suo stile e a trovare
colpe nel fidanzato: “Il cambiamento è gioia, allegria, piacere … Lui non lo
capiva: era monotono, terribilmente noioso!” E poi: “Io piaccio subito agli
uomini. Ma quelli che si innamorano di me, si rivelano sempre gelosi, pignoli,
monotoni, incapaci di comprendermi e anche di perdonarmi, se occorre”.
Attribuiva, poi, alla sua “sensibilità artistica” l’essere impressionabile,
suggestionabile, attratta e allo stesso tempo spaventata dall’esoterico, dal
magico, dal paranormale.
Quando il professore si stava
già orientando per una “personalità isterica”, categoria già esclusa dalla
psicopatologia corrente ma ancora considerata di utilità clinica in quegli
anni, le domande sull’infanzia diedero delle risposte che risultarono
illuminanti: “Ero irrequieta, insofferente, avevo l’argento vivo, ma non lo
capivano e mi consideravano cattiva. Non ce la facevo a star ferma a scuola
seduta al mio banco, fissa a fare i compiti come dovevo. Non riuscivo a
concentrarmi su una sola cosa, ad impegnarmi rinunciando alla libertà di muovermi
a piacimento. Per questo non ho potuto fare danza e studiare il pianoforte come
voleva mia madre. Ricordo che mi fecero visitare da un neurospsichiatra
infantile, che disse che avevo un deficit dell’attenzione con iperattività”.
Il riferimento al primo colloquio
di questo caso clinico mi aiuta ad introdurre l’argomento dello studio qui
recensito.
Il disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività (ADHD, attention deficit hyperactivity
disorder) è stato a lungo considerato come una
sindrome di esclusivo interesse neuropsichiatrico infantile, ma negli ultimi
due decenni, insieme con l’impegno della ricerca nell’individuazione delle sue
basi neuropatologiche, l’osservazione della sua evoluzione si è estesa all’età
adulta, con importanti implicazioni cliniche, soprattutto in rapporto alla
terapia. L’impiego di farmaci psicostimolanti anfetaminici, che da tempo
costituisce lo standard terapeutico, assicura una certa efficacia, ma i
meccanismi dell’azione responsabile della riduzione dei sintomi non sono stai
ancora definiti.
I circuiti limbico-prefrontali[1], che
costituiscono la base neurofunzionale dell’influenza delle emozioni sul comportamento,
sono interessati dai processi fisiopatologici del disturbo dell’attenzione con
iperattività (ADHD) e, pertanto, sono considerati un importante target potenziale per strategie
terapeutiche non ancora sottoposte a valutazione.
Uno studio, condotto da Schulz
e colleghi, ha valutato l’effetto del profarmaco psicostimolante lisdexamfetamina dimesilato
sull’attivazione dell’amigdala e la connettività funzionale, durante prove in
cui vi era influenza emozionale sull’esecuzione della risposta e
sull’inibizione.
(Schulz K. P., et al., Lisdexamfetamine Targets Amygdala Mechanisms That Bias
Cognitive Control in Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder. Biological Psychiatry: Cognitive Neuroscience
and Neuroimaging - Epub ahead of print - doi: 10.1016/j.bpsc.2018.03.004,
2018).
La provenienza
degli autori è la seguente: Department of Psychiatry, Icahn School of
Medicine at Mount Sinai, New York (USA); Department of Psychiatry, New York
University Langone School of Medicine, New York
(USA); Ontario Institute for Studies in Education, University of Toronto,
Toronto, Ontario (Canada).
Ricordiamo che nel 2015 la FDA
ha ampliato gli usi approvati della lisdexamfetamina
dimesilato, includendo il disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder), ossia una condizione patologica in cui le
persone affette vanno incontro ad episodi di assunzione compulsiva di cibo, pur
in assenza di fame, che si accompagnano alla sensazione di perdita di
controllo. Nonostante questa ulteriore estensione di impiego, la molecola non
può essere considerata scevra da rischi perché, a parte gli effetti collaterali
più comuni, ossia secchezza delle fauci, insonnia, aumento della frequenza
cardiaca, nervosismo, costipazione, ansia, non si può escludere la sia pur
rarissima evenienza di morte improvvisa, in persone con patologie o difetti
cardiaci, e l’aumentato rischio di ictus
e infarto in adulti e anziani. Il controllo della posologia nei trattamenti con
questo farmaco da parte di uno psichiatra esperto è necessario, anche perché è
possibile l’insorgenza di sintomatologia psicotica, con deliri e allucinazioni,
in persone che non ne hanno mai sofferto, così come lo sviluppo di crisi di
eccitazione maniacale.
Lo studio è stato concepito
secondo un disegno sperimentale di crossover
ibrido, controbilanciato e randomizzato, per studiare in 25 adulti affetti da
ADHD il cervello mediante due serie di scansioni secondo la metodica di risonanza magnetica nucleare relativa ad
evento (event-related
fMRI, da functional magnetic resonance imaging) durante l’esecuzione di un compito
tipo go/non-go, dopo un periodo di trattamento con lisdexamfetamina da 3 a 4
settimane e dopo 3 settimane senza trattamento.
Il farmaco, il tipo di prova e
l’emozione espressa dal viso (allegro, triste o neutro) sono stati inclusi
quali fattori “intrinseci ai soggetti”, in ripetute analisi di misura
dell’attivazione e della connettività.
Il trattamento con lisdexamfetamina era associato ad un’accresciuta
attivazione dell’amigdala di destra e
ridotte interazioni psicofisiologiche con la parte orbitaria del giro
frontale inferiore di sinistra, specificamente per le risposte ai volti
tristi, nel paragone col placebo, ma non si rilevavano effetti sulla precisione
nell’esecuzione della risposta o nell’inibizione. L’aumento relativo
dell’attivazione dell’amigdala di destra nella risposta ai volti tristi, per la
lisdexamfetamina, era associato ad una riduzione dei sintomi di ADHD.
Dall’analisi dei rilievi
effettuati si deduce che il trattamento con lisdexamfetamina potenzia la codificazione affettiva nell’amigdala, presumibilmente attraverso
meccanismi catecolaminergici, ma disconnette funzionalmente l’amigdala
dalle regioni frontali inferiori che
codificano il significato comportamentale, con la conseguenza di una ridotta
influenza emozionale sul controllo cognitivo.
In conclusione, secondo gli
autori dello studio, la comprensione delle basi neurofisiologiche del
miglioramento sintomatologico indotto dalla lisdexamfetamina nei pazienti
affetti da ADHD, rappresenta il primo passo per lo sviluppo di trattamenti
specifici.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle numerose recensioni
di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Il concetto di sistema limbico, originariamente riferito alle strutture mediatrici delle emozioni che erano state descritte in anatomia da Broca nella formazione da lui denominata “grande lobo limbico”, è attualmente superato ma, soprattutto nella ricerca farmacologica, per riferirsi ai sistemi neuronici mediatori delle emozioni, si conserva l’espressione d’intesa circuiti limbici, che presenta anche il vantaggio di poter essere impiegata sia per il topo che per l’uomo.